L' oratorio cambia. E tornano i ragazzi

mercoledì 22 ottobre 2008

Non ci sono più gli oratori di una volta. Si capisce dalle ginocchia. Perché la sbucciatura calcistica d’ ordinanza, che dopo un po’ su quei vecchi spiazzi più-sassi-che-terra era parte integrante della rotula di ogni ragazzino, sull’odierno sintetico da calcetto magari capita, ma non è più un marchio fisso: la 626 è arrivata anche dietro la canonica.

Il resto, che naturalmente è molto di più, è solo lo specchio del mondo che gira: multietnici, a volte persino multireligiosi nel senso che nessun prete obbligherà mai un bambino musulmano al catechismo, forse con dentro meno sacerdoti perché le vocazioni calano, ma con più volontari laici perché le motivazioni invece crescono, gli oratori d’ Italia continuano a essere - e anzi stanno diventando sempre più - l’ unica vera risposta «organizzata, efficiente, sociale, economica» alle esigenze di migliaia di famiglie con figli.

Oddìo, magari don Giovanni Bosco, che l’ oratorio «moderno» lo reinventò a Torino nel 1841, oggi potrebbe non cogliere subito cos’è lo «Strengthening families program»: bando finanziato dal Ministero della pubblica istruzione e vinto appunto da un’ associazione di oratori, centri sportivi e comunità terapeutiche, con 47 sedi in Italia, per un «progetto di formazione genitori-figli».

Magari San Filippo Neri e San Carlo Borromeo, che di don Bosco furono precursori con tre secoli d’ anticipo, impiegherebbero un po’ a capire il concetto attuale di «rete», e che i seimila oratori oggi presenti in Italia sono riuniti in un Forum (Foi) con un sito internet (www.oratori.org), newsletter, e forum per commentare i «Grest».

Ma anche loro capirebbero un dato molto semplice: e cioè che oggi gli oratori italiani sono frequentati «stabilmente» da un milione e mezzo di ragazzi, tre contando anche chi ci va ogni tanto. E capirebbero che le tre parole-chiave, in fondo, sono ancora quelle di don Bosco: istruzione, amicizia, percorso di fede.

E che altre cose, invece, sono cambiate eccome: «Soprattutto il fatto che una volta - sintetizza don Massimiliano Sabbadini, presidente del Foi - l’ oratorio era tutto quel che c’ era. Oggi invece i ragazzi sono pieni di impegni, attività, cose, per mettersi d’ accordo su quando vedere un amico devono guardare l’ agenda».

Dunque? «Per un verso l’ oratorio di oggi è una scelta, non un parcheggio: e questo implica una responsabilità ancora maggiore. Per l’ altro, che è la cosa più importante, c’ è che qui i ragazzi non sono "clienti" ma persone. Non "comprano" una attività: la fanno».

Nel 2003, del resto, è stato il Parlamento stesso a «riconoscere» con una specifica «Legge sugli oratori» il loro «ruolo insostituibile in tutto il nostro Paese» nonché la «funzione sociale» loro e di tutti gli «enti che svolgono attività similare»: il che tradotto, poi, non significa finanziamenti diretti ma comunque agevolazioni fiscali sull’ Ici, ad esempio, con uno stanziamento fino a un tetto globale annuo di 2 milioni e mezzo di euro, da parte dello Stato, cui i Comuni possono accedere per recuperare i mancati introiti.

In cambio, del resto, il servizio più gettonato che gli oratori forniscono all’ inizio di ogni estate, quando le scuole finiscono e le famiglie si ritrovano con i figli tappati in casa, è una cosa che si commenta da sé: l’ «oratorio feriale» dove bambini e ragazzini restano da mattina a pomeriggio, a volte completamente gratis a volte con un contributo che almeno in Lombardia sta normalmente sotto i 50 euro per quattro settimane.

Sport, giochi, amicizie, il tutto in un ambiente protetto: i «Grest» - gruppi estivi - sono un concentrato di attività riproposte da decenni e che finora non ha conosciuto crisi, anzi. Dopodiché vacanza, dove l’ aspetto educativo non può essere qui disgiunto da quello economico: don Giuseppe Salvioni, per dire, ogni luglio parte dal suo oratorio di Concorezzo, in Brianza, e porta duecento ragazzi a Bionaz, in Val d’ Aosta.

Ognuno di loro spende 120 euro a settimana, viaggio compreso. E si potrebbero fare altri seimila esempi simili, o quasi. Fare una mappa precisa di questo pianeta è il primo obiettivo che il Forum sta cercando di realizzare dal 2001, anno della sua costituzione. Il censimento al Nord è stato facile: i tremila oratori che da soli riempiono Veneto e Lombardia sono una tradizione consolidata al punto che già il cardinale Schuster, a Milano, ripeteva negli anni ’ 50 che «in ogni nuovo quartiere l’ oratorio deve essere costruito prima della chiesa».

Ma sono il Centro e il Sud la nuova terra vergine, ed è lì che il Foi registra ormai da anni nuove adesioni con regolare continuità. Come quella dell’ oratorio Giovanni Paolo II a Gibellina, in Sicilia, rifondato lo scorso anno da don Rino Randazzo: laboratori per bambini e adolescenti, lezioni di teatro, ballo, informatica, attività di ascolto e formazione, insomma un esempio per dirne cento.

Complessivamente, certo, anche al Nord e nelle grandi città ci sono stati momenti di crisi: la fuga tra fine anni ’ 80 e inizio ’ 90, sovrapposta al primo impatto della diminuzione dei sacerdoti, ha richiesto tempo ed energie per essere arginata. Ma il bilancio attuale è che le strutture oggi attive possono essere considerate, almeno a spanne, quasi il doppio di quelle esistenti trent’ anni fa. Il che è naturalmente una buona notizia, per la Chiesa, ma anche un problema da affrontare. Nel senso che i preti invece sono sempre meno, e spesso hanno parecchio da correre.

Come don Diego Arfani, a Milano, il quale ha appena descritto anche alla rivista Jesus il suo ruolo di «tampone» ormai sempre più frequente: il «suo» oratorio è quello di San Luigi Gonzaga, ma «quando serve vengo mandato anche di qua e di là, dove c’ è bisogno, finché non si trova una soluzione stabile». Per contro, questo sta quasi naturalmente favorendo la traduzione concreta di ciò su cui ad esempio il cardinale Carlo Maria Martini aveva insistito per anni: il ruolo dei laici e la loro responsabilizzazione. A Milano, su questo punto in particolare, la diocesi ha istituito da tempo una cooperativa - si chiama «Aquila e Priscilla» - che in sostanza riconosce un compenso a chi si assume «un impegno che richiede tempo, continuità, presenza». Diciamo professionalità: i corsi di formazione per «animatori e operatori» di oratorio, sul sito Foi, riempiono intere pagine di link. Ancora di più oggi che, soprattutto nelle città, oratori come quello di San Giovanni a Brescia accolgono fino a 24 nazionalità di bambini.

Foschini Paolo

Fonte: www. Corriere.it

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